SEI DA POCO TORNATO IN ITALIA DOPO BEN SETTE ANNI PASSATI IN CILE.
COSA E’ STATA PER TE QUESTA ESPERIENZA?
Amo l’Italia e mi piace girarla in maniera turistica. Con la mia famiglia e
per un contratto di mia moglie, ci siamo trasferiti a Santiago del Cile.
Tutto questo tempo è stato utile per analizzare un po’ di cose. Un viaggio interiore e profondo alla ricerca delle mie radici, forse mascherate dalla
mia esperienza di zingaro. Una opportunità per vedere le conseguenze di una repressione militare, soprattutto nell’ambiente artistico. L’arte di
per se è libertà e la sua assenza mi ha colpito notevolmente. In Cile mi sono state chiuse tutte le porte, come se portassi la peste! D'altra parte
la terra di Pinochet non perdona e i danni alla cultura sono irreparabili.
Di queste cose ne sanno qualcosa i Maya e gli Aztechi. Dopo
la scoperta dell’America, come se prima non esistesse ugualmente, l'Europeo ha
seppellito questo continente eliminando i nativi e completando le opere
umanitarie con il traffico degli schiavi africani. L'atmosfera coloniale si vive
ancora da quelle parti in certi settori. E' l'isolamento culturale tra i diversi
Paesi, nonostante sia l'unico continente che parla in maniera preponderante lo
spagnolo. Ho approfittato durante la mia permanenza a Santiago, per girare un
po’ l'America latina. In Bolivia ho scoperto la dimensione per niente facile
delle maracas, ascoltando maracheros fantastici; a Cuba ho conosciuto la
letteratura del famoso etnomusicologo Fernando Ortiz; in Perù ho potuto vedere
il vero utilizzo dello strumento musicale chiamato cajon; in Uruguay ho
ascoltato lo splendido ritmo chiamato Candomble.
LA TUA ATTIVITA' CONCERTISTICA INVECE?
Per
suonare dovevo andare negli Stati Uniti o a Buenos Aires. Sono stato invitato
insieme a Norberto Minichillo a Los Angeles, per il Festival Jazz “Summer Nights
at Moca” organizzato dal Museo di Arte Contemporanea. Il nostro spettacolo si
chiamava Afrorera. E’ stata una bella esperienza e soprattutto siamo stati molto
ben accolti dalla comunità musulmana afro-americana. Un altro bel ricordo è
quello di aver suonato nel Club World Stage, sempre a Los Angeles. Aperto per
iniziativa del grande Billy Higgins, questo locale serve anche come punto di
incontro tra musicisti locali. Ancora più entusiasmante è stato quando lo stesso
Higgins, da poco convalescente da un delicato trapianto, ha trovato il tempo per
invitarci a casa sua e farci ascoltare della musica e scambiare buone parole. A
New York ho suonato invece come ospite nel trio di Bobby Watson, insieme al
contrabbassista Essiet Okun Essiet ed al pianista George Cables.
LA TUA VITA ARTISTICA E’ SEGNATA DA MOMENTI PARTICOLARMENTE FELICI. UNO CREDO CHE SIA STATO FONDAMENTALE: L’INCONTRO CON ELVIN JONES.
NON E’ COSI’?
Incidere ed essere a
fianco di Elvin Jones è stata una esperienza enorme. Ho imparato molte cose da
quel periodo, in particolar modo come la coerenza porta a chiari risultati. In
quel periodo Elvin Jones ci raccontava le pretese di certe case discografiche,
gli chiedevano di suonare più rock. Il suo rifiuto ed il continuare a suonare
acustico con il set di tamburi non esagerato, l’essere stato sempre fedele al
linguaggio coltraniano, senza accettare mode, è stata una scelta premiata con il
tempo. Tutto questo mi è stato utile per aprire gli occhi e per guidarmi nella
mia modesta ricerca. I suoi consigli e le sue indicazioni mi hanno sempre
illuminato la strada. Ho sempre privilegiato la mia curiosità verso il mondo
sonoro afro-latino e questo mi ha allontanato dai circuiti americani. Nessun
pentimento! Rifarei le stesse scelte.
COME MAI CI SONO CERTI MUSICISTI DI CUI POCHI O NESSUNO SI E’ OCCUPATO?
Penso che questo sia provocato anche dalla globalizzazione
dell’informazione, sempre intorno alla discografia di una elite, alle
esigenze di mercato e pronta a lasciare notevoli spazi alla mediocrità.
E’ un nodo difficile da sciogliere. Un giorno Elvin Jones mi disse che i
migliori non li ascolteremo mai nei dischi. Certo non è stato il suo caso!
C'è un proverbio africano che dice: “fino a che i leoni non avranno i loro storici, le storie di caccia continueranno a glorificare il cacciatore”.
Inoltre si sa benissimo che a
volte fare la lode e omaggi ai famosi, possa servire per aumentare il proprio
prestigio. Una prova lampante dello stato dei mezzi di informazione, la si può
avere percorrendo minuziosamente le frequenze radiofoniche. Quando va bene si
ascolterà solo un programma di musica classica. Questo nel paese di Giuseppe
Verdi!
DI SONNY TAYLOR E DI NORBERTO MINICHILLO COSA MI PUOI DIRE?
Di Sonny Taylor basta ricordare il suo incredibile feeling caraibico
ed il suo splendido brano: “Maya”. Di Minichillo devo dire che tenuto conto
della sua vasta esperienza ed informazione, dovrebbe occupare un posto ufficiale
importante nel campo musicale di Buenos Aires, invece non è così. I raccomandati
calpestano gli spazi! Soltanto entrando in una favela, in un morro di Rio de
Janeiro, si può avere un’idea dell’enorme quantità di talenti. Nel mio lungo
soggiorno nel morro di Salgueiro e parte integrante della “Bateria” della Scuola
di Samba, ho avuto la fortuna di vedere e frequentare incredibili
percussionisti. Molti di loro non sono mai usciti dal luogo dove abitano. Questa
esperienza è molto bella, ma può trasformarsi in un amaro riferimento quando
ascolti certi rappresentanti della percussione brasiliana lanciati dal mercato
al potere.
HAI CONDIVISO DELLE BELLE EMOZIONI A FIANCO DI GEORGE AGHEDO. ESSENDO ANCHE TU UN PROFONDO CONOSCITORE DELL’AFRICA E DELLE SUE USANZE, QUAL E’ IL TUO RICORDO DI CHICO?
George Aghedo se ne è
andato troppo presto lasciando un grande vuoto nel campo della percussione. Per
fortuna possiamo ascoltare le sue registrazioni, a quanto pare l’unica cosa che
ci permette di valutare le sue capacità musicali. Il suo tempo granitico, il suo
tocco ed il senso ritmico erano genuinamente africani. Era uno straordinario
showman dotato di grandissima musicalità. Uno dei suoi tamburi faceva la
funzione di contrabbasso. Quando suonava era una garanzia totale: dove c’era lui
la musica funzionava a meraviglia. Ho un paio di aneddoti da raccontare di
Chico, così lo chiamavano i suoi colleghi nigeriani. Un giorno gli chiesi il suo
curriculum, mi serviva per presentare il lavoro che facevamo insieme. Dopo un
certo tempo mi fece avere alcuni fogli dove spiegava la sua crescita nei ghetti
di Lagos (capitale della Nigeria) e che per aiutare suo padre a mantenere i sei
fratelli, iniziò la sua carriera di pugile. In questo foglio dettagliava
minuziosamente il suo percorso pugilistico, come si fa normalmente per una
pubblicazione sportiva. Grande fu la mia perplessità, dovuta ai miei limiti.
Soltanto più tardi mi resi conto di questa grande lezione di vita: un individuo
suona quello che ha vissuto, non con chi ha suonato. Le nostre litigate avevano
un alto contenuto di surrealismo. Un giorno tornando a Milano (avevamo suonato
con Billy Cobham), molto provati dalle ore di viaggio e da un notevole consumo
non precisamente di acqua minerale, George mi comunica che dovevamo suonare il
giorno dopo a Foggia. Gli risposi che non potevamo farcela. Partimmo con la sua
potente macchina, che lui guidava ad altissima velocità tanto da non permettere
di vedere la segnaletica. Oltrepassammo Foggia, dovemmo tornare indietro e
chiaramente arrivammo con un notevole ritardo sul luogo del concerto. Così
suonammo solo per pochi minuti. Fu soltanto la sua simpatia altamente
coinvolgente, che ci permise di non essere rimproverati dall’organizzatore.
LUIS CI PUOI RACCONTARE COME E’ NATO QUESTO CD?
Un giorno mi chiamò a casa, stavo a Santiago, Pablo Bobrowsky, comunicandomi l’intenzione di registrare alcuni brani insieme a Norberto Minichillo, con il quale sono legato da molti anni da una profonda amicizia. Il giorno dopo
partii per Buenos Aires per trovarci tutti e tre in sala di registrazione.
Al termine della registrazione consigliai a Pablo di spedire
la cassetta a Sergio Veschi di Milano. Rispose prontamente sollecitandoci di
aggiungere altri brani sufficienti per completare il CD. Rientrammo così in
sala. Non avevamo mai suonato insieme prima e le nostre prove le abbiamo fatte
in sala, più verbali che pratiche. La sorpresa più grande fu quella di scoprire
Norberto, lo conoscevo come batterista e percussionista, non come bravo
suonatore di marimba.
DOMANDA: QUANTI SONO I BRANI E COME TI SEI RELAZIONATO CON LORO E CHE STRUMENTI HAI UTILIZZATO?
I brani sono 14. Pablo ne aveva già incisi 2 a New York con altri musicisti in un contesto tipicamente bebop, con Pepi Taveira alla batteria. Poi ne abbiamo scelti due di Thelonius Monk, “Straight no chaser” e “Well you needn’t”, dove ho utilizzato il Boloum Batam (arpa - liuto a tre corde Malinke n.d.a.) come basso. Tra le
registrazioni reperibili nei cataloghi etnici è la prima volta che questo strumento viene registrato in un contesto diciamo jazzistico.
Per il brano “Nescape”, a New York avevo dato a Bobby Watson la base registrata da noi. Lui a Milano, dopo averla ascoltata una volta sola , ha subito sovrainciso. Certo, stiamo parlando di Bobby Watson!
“De Buenos Aires a Rio” è un brano di Minichillo dove suona la marimba, Pablo la chitarra ed io il tutago, un set personale formato da una conga messa orizzontalmente su cui appoggio tamburine, agogo ect., che mi permette di suonare una ritmica piuttosto complessa.
“Casinha pequenina” è un vecchio brano del repertorio popolare
brasiliano.
Il brano “Tierra, aire y fuego” è
una Chacarera, un ritmo tipico del folclore argentino, sicuramente di origine
africana. E’ una eredità, un patrimonio che viene trasmesso dalle radici di
ognuno, è quello che chiamiamo linguaggio e non è questione di bravura. Mio
padre, che era un ottimo chitarrista suonava la chacarera ed io da bambino lo
accompagnavo con un piccolo tamburo folclorico, che si chiama Caja Salte.
PENSAVATE DI INCONTRARVI NELLO STUDIO DI REGISTRAZIONE PER FARE UNA PROVA, INVECE DOPO IL PRIMO ASCOLTO E’ DIVENTATO CD. IL LIVE STUDIO RECORDING E’ UN’ALTRA COSA CHE TI APPARTIENE, NON E’ COSI’?
La
musica jazz è un formidabile esempio, nel senso che i figli degli africani, nel
desiderio di esprimersi, adottano gli strumenti che non gli appartengono facendo
nascere la musica probabilmente più importante di questo secolo. Quando si
possiede un linguaggio, con i suoi codici, si può suonare anche una scatola di
fiammiferi e dire qualcosa. Difficile è quando non lo si possiede e si vive
inventando. La Ricordi di Buenos Aires ha pubblicato un libro di Minichillo,
dove illustra tecnicamente i ritmi delle nostre terre.
E GLI ALTRI BRANI?
Ce n'è uno in cui suono il pianoforte, dopo aver registrato il ritmo con la batteria. Si chiama “Anikè” che vuol dire, nel linguaggio senufo della
Costa d’Avorio, grazie. Il ritmo invece appartiene all’immenso bagaglio
musicale del Togo, che ho imparato molti anni fa a Parigi dal trombonista
togolano Adolph Winkler.
“Maxi cuore” l’ho composto con il mio pandeiro: si tratta di una descrizione umoristica ed amichevole della personalità di Norberto nell’ambiente musicale notturno di Buenos Aires.
“Imagino Salgueiro" è una composizione di Pablo dedicata alla Scuola di Samba di Rio, dove ho passato un bel pezzo della mia vita.
“Luli” è un altro delicatissimo brano di Pablo, è il racconto di una bambina che porta quel nome.
“Casi seguro” è un brano suonato in duo: Pablo alla chitarra ed io al
Djembè e al Darabuka. Il ritmo si chiama Candomble del Rio della Plata,
più precisamente di Montevideo of Uruguay.
“Max who?” è un brano di Minichillo che ha inciso a New
York. Vorrei menzionare il giovanissimo Esteban Perez Ezquivel che ha
partecipato al disco con i flauti dell’altopiano boliviano, che lui stesso
costruisce, ed il fonico Alvaro Vilagra che comprova il fatto che il tecnico di
registrazione deve essere anche un musicista.
E IL “BLUES PARA ADAMO”?
Mentre eravamo in
studio di registrazione ci arrivò la notizia della scomparsa del padre di Sergio
Veschi e così gli abbiamo dedicato un piccolo blues. Da molto tempo ci lega con
Sergio una amicizia e collaborazione. Devo sottolineare il suo coraggio:
pubblicare la musica di tre argentini registrata nella loro terra, non è facile
dal momento che tutti sanno che le cose che hanno certe radici, per avere una
certa ripercussione devono essere fatte a New York è uno scherzo, amaramente
umoristico.
Peppe Consolmagno
web page di Consolmagno
Per contattare Luis Agudo:
LUIS
AGUDO
via Aldo Moro, 26 Ballabio - Lecco
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